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Biancoverde News: Shaun Stonerook

16/01/2012

La storia è fatta di numeri, di dati, di statistiche e di fatti che restano incancellabili nella mente delle persone. Ma la storia è fatta anche se non soprattutto di uomini, di personaggi, che magari in epoche diverse ed anche in modi diversi, hanno saputo lasciare un segno indelebile. Shaun Stonerook fa già ampiamente parte della storia della Mens Sana Basket, e non solo per le 260 presenze in maglia biancoverde che gli hanno permesso di eguagliare un altro capitano storico come Fabio Giustarini, ma soprattutto perché il suo essere capitano, trascinatore e leader della Montepaschi che è entrata nella storia, lo rende a sua volta (e forse a maggior ragione) parte importante della storia stessa. In poche parole sarà difficile per chi ha avuto la fortuna di seguire la Montepaschi in questo periodo, dimenticarsi di Shaun Stonerook, uno che tante volte sembra veramente “avanti” anni luce e la sua capacità di leggere certe situazioni con “secoli” di anticipo rispetto all’azione che si sta sviluppando, ci fa sorgere il dubbio che magari uno come lui potrebbe far comodo anche in altri ambienti. Shaun Stonerook è l’emblema di come si può essere fenomeni pur non avendo un talento smisurato e neppure un fisico indistruttibile. E quando deciderà di smettere, lascerà un vuoto, perché magari di talenti straordinari ne nascono ogni anno, di scienziati del parquet invece, molti di meno.

E sarà difficile per chi si andrà, magari tra cinquant’anni, a rileggere la storia della Mens Sana Basket, non imbattersi nel riccioluto con la maglia numero 20. Ok, nel basket, così come in tutti gli sport di squadra, il singolo non può essere in proprio artefice dei successi collettivi, ma i simboli sono importanti e Shaun di questa Montepaschi è veramente un simbolo. Anche perché insieme a Marco Carraretto, è l’unico ad aver vissuto senza perdersi neppure un minuto, la straordinaria epopea menssanina dell’era Pianigiani.

E pensare che l’esperienza del capitano con la maglia biancoverde non era iniziata esattamente nel migliore dei modi: era la stagione 2005/06, quando Shaun, svestiti i panni della Pallacanestro Cantù, decide di indossare quelli della Montepaschi. All’inizio non furono tutte rose e fiori, anche perché in quella stagione, l’ultima di Carlo Recalcati, i risultati furono tutt’altro che entusiasmanti. E lui, così come nelle vittorie, anche nei momenti difficili, è sempre stato in prima linea. A spartirsi con pochi altri, onori, oneri e responsabilità.

“Il primo anno fu un po’ così – ammette il capitano – diciamo “up and down”. Una squadra nuova, che fece un po’ di fatica ad ingranare. Non arrivarono grandi soddisfazioni ed alla fine nessuno era contento. Poi dalla stagione successiva è cambiato tutto ed abbiamo iniziato a raggiungere risultati straordinari.”

 Eh si, altro che straordinari. Diciamo pure storici o forse leggendari. Ma per adesso nessuno ci pensa. Per riflettere ci sarà tempo, magari quando tutto questo, fatalmente, sarà finito. Se possiamo fare un appunto al capitano, (bonariamente e ci mancherebbe altro) è che non parla italiano nelle interviste. E chi se ne importa, dirà qualcuno. Chi lo conosce, ormai neppure ci prova più, anche perché la risposta sarà sempre e comunque un: “I don’t understand!”. C’hanno provato anche i suoi compagni a fargli cambiare idea, nel giorno della presentazione della squadra, ovviamente senza esito. Ma in fondo, chi se ne importa. Cavoli di chi per lavoro deve anche accettare di tradurre. Perché poi, a quattr’occhi, Shaun parla italiano. Bene, o quantomeno sufficientemente bene per farsi capire da tutti. In campo, ma soprattutto fuori, dove deve rispondere a tanti tifosi, ma soprattutto a tanti bambini, quelli che (chissà perché?) impazziscono per lui. In campo invece la lingua ufficiale è l’inglese, ed ancora prima il linguaggio del basket, fatto di fondamentali tecnici, ma anche di “body language” per usare un termine caro agli allenatori e dove Shaun è un vero maestro. Basta guardarlo in faccia quando gioca, basta studiare la sua espressione, ed anche la sua capacità di essere sempre laddove vorresti che lui si trovasse. Si chiama senso della posizione, quello che ti fa prendere più rimbalzi di uno alto 215 centimetri. Che ti fa subire gli sfondamenti, che ti fa recuperare palloni, che ti consente di impedire un canestro all’avversario. Nel basket vengono definite “piccole cose”, ma poi alla fine, tanto piccole non sono. Anzi forse sono proprio quelle che fanno la differenza. Certo, segnare 30 punti a partita è bello, spettacolare. Ma le vittorie si costruiscono spesso sulle piccole cose. Su una palla recuperata, un rimbalzo, un blocco fatto bene.

“Io cerco di fare tutto quello che posso per aiutare la squadra – ammette il capitano –. Che sia segnare, difendere o altro. La cosa più importante è la squadra. Il risultato ed il bene del gruppo vengono prima di qualsiasi statistica.”

Già, la squadra. Avete mai fatto caso all’urlo pre-partita della Montpaschi? Ecco, suona così: Shaun raduna tutti in cerchio e dice “One-two-three”. E la squadra che in coro urla “Team”. Non basta questo per fare squadra. Ma certamente è un buon inizio.

“In questi anni non è stato difficile fare il capitano – ammette – perché oltre che ottimi giocatori, i miei compagni si sono dimostrati tutti ottime persone. E poi, il capitano è quello che magari deve spendere una parola nei momenti di difficoltà. E’ capitato certo, ma fortunatamente non così spesso, perché le vittorie sono state sicuramente di più rispetto alle sconfitte.”

Leadership nello spogliatoio, ma anche in campo, perchè Shaun negli anni ha saputo segnare anche canestri dal notevole peso specifico. Uno su tutti? Quella tripla in gara 4 di finale scudetto a Cantù. Quella che nessun tifoso della Mps potrà mai dimenticare e che non a caso è diventata anche un coro della curva biancoverde.

“E’ stata una bella sensazione segnare quel tiro, perché era un tiro importante per noi e per ottenere una vittoria fondamentale. La palla è andata dentro, bene così.”

Un canestro fondamentale per indirizzare la serie a favore di Siena. E per consegnare poi, qualche giorno più tardo il sesto tricolore, il quinto consecutivo. Storia dicevamo. Della Mens Sana, ma forse più in generale di tutto il basket italiano.  





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