La Mens Sana vuole una notte di grande magia


25 giugno  Rassegna Stampa

Corriere di Siena

Ci sono mille modi per presentarlo il nuovo episodio di una serie che ha preso una piega imprevista per tutta Italia, meno che per Siena e la sua piccola-grande squadra. Non sbaglia chi si attiene ai numeri e parla di match-point che vale lo scudetto
numero nove, stesso si può dire per chi, mettendo in fila rimonta e sorpasso, stuzzica la fantasia con l’idea di un clamoroso poker, visto lo spessore dell’avversario: si può andare avanti all’infinito, ma forse l’esatta dimensione di ciò che sta per
succedere e dello spirito guerriero col quale la Mens Sana e la sua gente affrontano stasera (Palaestra, ore 20.30) gara 6 della finale contro Milano sta nella certezza che, comunque vadano le cose, quella di oggi sarà l’ultima partita casalinga di
questa storia biancoverde e che non esista occasione migliore per ribadire quanto magica ed ineguagliabile sia l’atmosfera che si crea nella vecchia ”bombonera” di viale Sclavo. Qui Montepaschi L’oggetto del desiderio, mai pronunciato durante nove mesi di terremoti e ricostruzioni sul campo (le macerie del club, purtroppo, se le porterà via il fallimento del 4 luglio), è li a portata di mano. Scommettere un euro sulla difesa del titolo da parte di Marco Crespi e della sua, più volte, dilaniata
compagine era incoscienza a settembre e addirittura follia a gennaio, ma oggi questo gruppo di “senesi adottivi” si trova nella condizione di far saltare pronostici e bookmakers: deve vincere la partita più difficile la Mens Sana, quella che porta al superamento assoluto dei propri limiti prima ancora che alla demolizione, cestistica, dei campionissimi che si ritrova a fronteggiare per la sesta volta in dieci giorni. La chiave di volta sta nel mantenimento di un rigore difensivo che ha
inchiodato Milano a quota 68 punti per tre partite e ribaltato lo 0-2 di inizio serie, ma anche nella lucida follia creativa di chi questa finale l’ha dominata in fatto di impatto mentale. Etichetta da appiccicare a Matt Janning, divenuto playmaker
affidabile pur calando nelle percentuali (6 su 26, anche se il 4 su 8 di sabato ha sancito l’allarme rosso in casa-Armani), e ancor più al monumentale Hunter di gara3 e gara5, di sicuro ben supportato dal sacrificio di Ress e Nelson ma, in assoluto,
l’incubo peggiore per Samuels e Lawal. Finestra aperta sullo scudetto anche grazie a tanti piccoli “mattoncini” (i 14′ difensivi di Cournooh due sere fa rimarranno nei libri di storia, come l’infallibilità perimetrale di Viggjano), oggi da murare assieme
con la passione dei settemila tifosi. Qui Ea7 Luca Bandii può provare a leggerla in mille modi diversi, ma se il talento infinito dei suoi gioielli rimane allo stato grezzo e non si incastona in un concetto di squadra, qualsiasi rimonta appare difficile.
L’agonismo di Cerella e qualche sprazzo dell’Hackett conosciuto ai tempi di Siena sono l’appiglio che l’harakiri di lunedì notte consegna alle speranze dell’Olimpia: certo Jerrels e Langford sono in grado di vincerla da soli se aggiustano la mira,
ma il passo avanti deve venire da un Moss incredibilmente scarico, da Gentile e anche da Melli, partito sempre in quintetto ma mai andato oltre il 3 di valutazione.

Matteo Tasso


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